Menu Chiudi

Nacque in Aidone l’ 1 Maggio 1811, da Francesco Paolo e Giuseppa Cordova. Sin da giovane stupì i concittadini per il suo genio componendo a 13 anni dei poemi e alcune tragedie. Il padre Notaio di Aidone , curatore degli interessi dei signori di Aidone Giulio Cesare Rospigliosi e Donna Margherita Colonna-Gioeni, lo fece studiare nell’ Ateneo di Catania nella facoltà di Giurisprudenza e a diciotto anni si laureò in diritto canonico e civile e prese anche la laurea in geologia sotto la guida del Prof. Carlo Maravigna. 

Inviato nel 1831 a Palermo dallo zio-cugino, il Comm. Gaetano Scovazzo-Cordova,  si fece conoscere per la sua profonda cultura e divenne amico stimato dell’ Ammiraglio Ruggero Settimo, Vincenzo Fardella di Torrearsa e Michele Amari. 
Ritornato in seno al paese natio vi soggiornò poco tempo, per recarsi a Caltanissetta, ove svolse parte della vita pubblica e politica, esercitando l’avvocatura. Consigliere Provinciale di Caltanissetta per la sua profonda cultura venne nominato Segretario del Consiglio. 
Nel 1838 partecipò al grande Congresso scientifico di Clermont-Ferrand in Francia fecendosi conoscere dall’ Accademia di Francia, con il saggio sul Paradiso Perduto di John Milton. Molto probabilmente in questa occasione ebbe la possibilità di conoscere anche molti illustri scienziati dell’ epoca, come l’ amico tedesco Herman Abik citato nella sua breve “Storia di Aidone”. 
Nominato Consigliere d’ Intendenza studiò nel 1839 le decime feudali di alcuni Comuni della Sicilia (Terranova, Butera, S.Cataldo, Sutera e S. Caterina) e nel 1841 partecipò al Congresso scientifico di Napoli e tramite il Principe di Canino venne introdotto alla Massoneria e venne scritto alla loggia Ausonia che aveva come obiettivo l’ Unità d’ Italia, con capitale la grande Roma.

Al Governo della Sicilia (1848 – ’49):

Scoppiata la Rivoluzione nel fatidico ’48, il Cordova fu nominato Segretario del Comitato rivoluzionario di Caltanissetta, e dopo venne eletto Deputato alla Camera dei Comuni come rappresentante del paese natio: Aidone. 
A Palermo fu chiamato dal Governo siciliano autonomo a formulare il progetto legge del potere esecutivo, che poi divenne lo Statuto Siciliano; i cui primi tre articoli furono da Lui compilati e approvati senza discussione, dalle due Camere dei Pari e dei Comuni. 
La nazione Sicilia, riconoscendo in lui un abile statista, lo volle a reggere i suoi destini e Ruggero Settimo, Presidente del Parlamento con il Marchese di Torrearsa, gli affidarono il dicastero delle finanze il 13 agosto 1848
La sua profonda cultura si può rilevare con i suoi discorsi sulla sovranità popolare, sul diritto degli operai al voto e la libertà di stampa. 
Dopo poco tempo, quando si accorse, che le Finanze della Sicilia erano al disastro totale, chiese ed ottenne il permesso dal Parlamento Siciliano di pignorare le argenterie e gli oggetti preziosi delle chiese . 
La richiesta venne accolta con fragorosi applausi e il nome Filippo Cordova divenne caro a tutti. Molti deputati in Lui vedevamo il salvatore della Patria, ma le sorti della Sicilia purtroppo peggioravano. 
La Sicilia correva il grave pericolo di essere ripresa a forza dal Borbone, l’ esercito formato da poche migliaia di uomini, non poteva far fronte a quello borbonico e consumata quasi interamente la polvere, i proiettili, perduti alcuni cannoni, si doveva incominciare da capo. 
Intanto mancavano i denari, perché le chiese ed i conventi avevano mandato poco argento al ministero delle Finanze, ma Filippo Cordova non si scoraggiò e formulò un progetto di legge per la vendita dei beni nazionali, che presentato alla Camera dei Comuni, venne approvato con assoluta maggioranza. Passato poi alla Camera dei Pari, gli abati e i vescovi in principio l’approvarono ma, dopo pochi giorni, capirono l’ intento e iniziarono ad odiare l’ uomo che cercava in tutti i modi possibili e convenienti di salvare la Patria, aspettando il momento opportuno per abbatterlo. La legge intanto non potè essere attuata causa l’ indugio e la feroce opposizione dei Pari e dei nuovi ricchi siciliani i borghesi latifondisti.

Cordova allora cerco di ottenere un prestito di 3 milioni di franchi presso la Banca Drouillard a Parigi e di invitare il generale Giuseppe Garibaldi ad organizzare la difesa dell’ Isola, ma anche questo tentativo fallì per opera dei maneggi politici del Re Ferdinando II di Borbone.
Il Cordova tentò ancora, proponendo allora l’ abolizione del dazio sul macinato. Intanto La Camera dei Pari che non lo perdeva mai di mira, cercava di disfarsi di Lui continuamente con delle interpellanze, alle quali però il Cordova rispondeva meravigliosamente.

Per le spese fatte durante la guerra, progettò un prestito forzoso di un milione di Ducati, ma purtroppo anche questo andò a monte, per cui il Cordova stanco si dimise e con Lui tutto il Gabinetto Fardella di Torrearsa.
Il popolo però, conoscendo l’ abilità del Ministro, mediante un forte tumulto lo costrinse a ritornare al suo posto e con Lui tutto il Ministero dimissionario. Fu allora che il Cordova forte dell’ appoggio del popolo e de Deputati, presentò un nuovo progetto per un prestito forestiero per cercare di salvare l’ autonomia e la libertà della nazione Sicilia .
Ma ben presto, quegli stessi Deputati che l’ avevano pregato per riprendere il seggio ministeriale, che con discorsi patriottici avevano manifestato il loro piacere per il suo ritorno al ministero e che avevano dato fiducia al governo del Fardella di Torrearsa, furono i primi ad essere contrari.
I ministri indignati si dimisero immediatamente nonostante il popolo protestasse perchè rimanessero in carica.
Il Deputato Bertolami pregò i Ministri affinchè ancora una volta assecondassero il desiderio del popolo, ma essi furono irremovibili sulla loro decisione. Ma quando il popolo che nutriva in loro fiducia, si diede a tumultuare in modo piuttosto violento, a quel punto il Torrearsa e Cordova, decisero di ritirare le dimissioni.
Il ministero Torrearsa-Cordova continuò così il suo indefesso lavoro, per aiutare la Patria siciliana in pericolo, incaricando Giuseppe La Farina a comprare armi e munizioni in Francia, mentre Filippo Cordova si occupava di aumentare i fondi del tesoro.
Ma quando il ministro delle Finanze, si vide diminuire la rendita pubblica,  stanco dei molti lavori e delle tante responsabilità, si dimise e venne sostituito dal Conte Michele Amari e ritornò al suo posto di Deputato alla Camera dei Comuni.
In quel tempo fondò un giornale a cui diede il titolo “La luce” e con il quale indicò ai fratelli siciliani, come unico faro di salvezza l’ Unità d’ Italia con capitale Roma.

LA LUCE di F. CORDOVA (1849)

Il rifiuto del Duca Ferdinando di Savoia al trono di Sicilia, la presa di Messina, l’ avvicinarsi delle truppe borboniche su Catania e molti altri avvenimenti luttuosi che seguirono, furono causa della capitolazione dell’ Isola del Fuoco. Filippo Cordova essendo stato messo nella lista dei 43 proscritti, per opera del generale borbonico Carlo Filangieri e per non cadere in mano al nemico, dovette esulare e si recò a Marsiglia, dove stesse poco tempo per passare a Torino città che ospitava gli esiliati italiani.
Li Massimo D’ Azeglio, allora Presidente del gabinetto piemontese, lo volle al suo fianco e gli affidò il delicato incarico di acquietare gli animi degli elettori per mezzo della sua parola.
Il Cordova accettò l’ incarico e riuscì nell’intento con l’opuscolo: “Un criterio per gli elettori del Piemonte”.
Quest’ opuscolo gli procurò molti ammiratori, tra i quali: il Re Vittorio Emanuele II, il Conte Camillo Benso di Cavour, Silvio Pellico e diversi altri.
Collaboratore del Risorgimento (direttore del quale era il Conte di Cavour) con un articolo sulle industrie, il Cavour lo volle compagno nel giro delle città industriale del Piemonte, in cui conobbe Alessandro Manzoni, Angelo Brofferio, il Durando e l’abate Antonio Rosmini, (l’ autore del Primato degli Italiani)
L’ abile politico Conte di Cavour nel 1859, ottenne la Presidenza del nuovo gabinetto e affidò al Cordova la direzione del Risorgimento, che funzionò con lo stesso nome, sino a quando non fu battezzato “Il Parlamento” per  l’ alleanza politica fra destra liberale di Cavour e la sinistra riformista di Urbano Rattazzi.

Regno d’Italia:

Chiamato a dare lezioni di statistica ed economia politica nel Collegio Nazionale di Torino, diede prova della sua profonda conoscenza in queste due discipline.
Nel 1857 si meritò la croce di SS.. Maurizio e Lazzaro, dono del Re Vittorio Emanuele II, per la pubblicazione di un opuscolo storico, ”I Siciliani in Piemonte” e nel 1860 fu nominato da Agostino Depretis, Procuratore Generale della gran Corte dei Conti in Sicilia.
Nonostante lontano, l’ isola dei Vespri era sempre nel suo cuore. Difatti quando nel Congresso indetto in Russia, i congressisti deliberarono di lasciare la Sicilia e Napoli sotto il dominio borbonico, Filippo Cordova, disse, che la Sicilia ripudiava l’ unione al Regno di Napoli, perché sotto il Borbone e se il Congresso non l’avesse tolta dalla schiavitù, si liberava da sé con la Rivoluzione.
Il Congresso non ascoltò le parole del Cordova e allora la storica campana della Gancia, il 4 aprile 1860, con i suoi gravi e solenni rintocchi, diede la scintilla per la rivolta.
La notizia che il generale Giuseppe Garibaldi era partito, la notte del 5 Maggio dallo scoglio di Quarto con i suoi Mille Eroi,

“reggendo il timone della nave Piemonte pel mare siciliano alla conquista dei nuovi destini d’Italia”

Discorso per la morte di Giuseppe Garibaldi
Giosuè Carducci – 1882

destò ancor più l’entusiasmo e Filippo Cordova felice di tali avvenimenti, fornì al generale Giuseppe Garibaldi una carta topografica della Sicilia, per mezzo della fiera e bellissima Contessa Martini con le parole:

”Da restituirsi in Palermo a Filippo Cordova, con una linea del valoroso portatore”

… la carta gli fu restituita da Giuseppe Garibaldi, e il nipote Vincenzo Cordova la regalò a Francesco Crispi, che accrebbe il suo museo garibaldino. Cacciati i Borboni dalla Sicilia, incominciarono i dissidi per l’annessione al Regno sabaudo. La maggioranza era per l’ annessione incondizionata ed uno dei più ardenti sostenitori era Giuseppe La Farina.
Per riconciliare gli animi, incaricato anche dal Conte di Cavour, il 23 giugno 1860, il Cordova partì alla volta di Palermo, anche perché era stato nominato Procuratore generale della Gran Corte dei Conti da Agostino Depretis, accompagnato alla stazione da molti amici e fra essi il poeta Giovanni Prati che volle donargli due sonetti, per Lui appositamente scritti.
Partito Garibaldi da Palermo alla volta di Milazzo, fu nominato pro-dittatore Agostino Depretis e Segretario di stato, Francesco Crispi, che mal sopportava la presenza del Cordova perché la stretta amicizia con il Depretis.
Intanto le lettere del Cavour sollecitavano l’ annessione, com’era rimasto col Cordova, che si era assicurato intanto della maggior parte dei consensi delle città e dei paesi dell’isola. 
Crispi venuto a conoscenza dell’ operato del Cordova avvisò il Dittatore che lo chiamò a Napoli per discolparsi. 
Egli partì accompagnato da Rosario Profeta Boscarini, ma giunto a Napoli, prima ancora di poter discolparsi, gli fu decretata l’ espulsione. 

Filippo Cordova allora riprese per la seconda volta la via dell’esilio, ma prima di lasciare Napoli, scrisse una lettera diretta al Dittatore, copia della quale l’ ebbe il Profeta, che prima di partire anche lui, alla volta di Palermo, la fece pubblicare nel giornale “Il Nomade”.

Attività Politica

Dopo l’ annessione delle Due Sicilie al Regno di Vittorio Emanuele, fu istituita a Palermo la Luogotenenza generale, con il marchese Cordero di Montezemolo e consiglieri Filippo CordovaGiuseppe La Farina
Il Cordova però dopo poco lasciò quell’ufficio, causa le persecuzioni e gli arresti che il La Farina ordinava e ritornò a Torino dove fu nominato segretario al Ministero delle finanze, prima col Seghezzi e poi col Bastogi. 
Il 27 gennaio 1861 furono convocati i comizi per le elezioni politiche, e apertosi il Parlamento italiano il 12 Febbraio, Filippo Cordova si presentò alla Camera dei Deputati, quale rappresentante di tre collegi: Siracusa, Caltanissetta e Caltagirone e il 20 Maggio optò per quest’ ultimo in seguito a sorteggio, sicchè Caltanissetta e Siracusa rimasero senza rappresentante. 

Occorre precisare che il Cordova faceva parte della loggia Ausonia del Grande Oriente d’ Italia e ricoprì la carica Gran Maestro (33° grado) per ben due volte dal 1/3/1862 al 6/8/1863 e dal 21/6/1867 al 2/8/1867  e godeva della fiducia quasi illimitata,  del Re Vittorio Emanuele II.
Quando si discusse il progetto per la distruzione della Pineta di Ravenna, fu il solo Cordova che sostenne la discussione con parere contrario alla distruzione e fu cosi eloquente che il progetto venne annullato.
Dimessosi da Ministro, per ragioni di salute e con lui tutto il Ministero, nel 1862 ricomparve con Urbano Rattazzi al Dicastero di Grazia e Giustizia (dal 3/3/1862 al 7/4/1862), che lasciò dopo breve tempo, per non fare un torto all’ amico fraterno il Barone Bettino Ricasoli.
Nello stesso anno veniva nominato Consigliere di Stato, e dopo i luttuosi fatti di Torino per lo spostamento della capitale a Firenze che molto addolorarono Vittorio Emanuele II, ebbe la Presidenza della Commissione che doveva provvedere alle Finanze dello Stato.
Nel 1866 per espressa preghiera del Re, ritornò al Ministero con Bettino Ricasoli col suo preferito portafogli dell’ agricoltura, industria e commercio, ma vi resto per poco tempo, per passare poi all’ attività di Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti dal 24/3/1867 al 10/4/1867.

Caduto il Gabinetto Ricasoli II a formare il nuovo fu chiamato nuovamente il Barone, che memore dell’ottima collaborazione con il Cordova, ancora una volta lo chiamò a far parte dell’ amministrazione ma questi si rifiutò. Ricomposto da Urbano Rattazzi anche lui chiamò il Cordova ma questi si rifiutò nuovamente e nel 1867 ancora al Menabrea.
Nel 1868 accettò la presidenza della Commissione per l’inchiesta del corso forzoso, facendo vedere alla Nazione che voleva ancora lavorare per la sua prosperità.
Nel breve periodo che sedette alla Camera, sino alla sua morte, sferzò a sangue, gli speculatori della cosa pubblica, con discorsi pronunziati nell’ alta assemblea.
Ottenuta la legge sul “Catenaccio” le banche, le società nazionali ed estere si sollevarono contro di Lui, ma il Cordova non ebbe paura e continuò imperterrito, animato da sentimenti italianissimi, l’ opera sua patriottica.

Il Ricordo

Dopo poco più di trentenni di vita politica e battagliera, proscritto ed esiliato, Deputato e Ministro, alto magistrato e Commendatore; dopo aver dato tutto l’ aiuto col suo grande ingegno alla patria, il 16 settembre 1868 moriva sulla breccia, come il soldato al suo posto di combattimento, senza mai mutare la sua fede politica.
Oratore profondo e solenne, sdegnava i riempitivi inconcludenti; resse i più alti uffici dello Stato con grande dignità aristocratica e con l’ acume competente dello studioso delle più alte discipline e della vasta cultura senza lacune.
Scese nella tomba alla giovane età di 57 anni e con Lui l’ Italia perse uno dei migliori campioni dell’oratoria.
Le sue ceneri riposano a S. Miniato in Firenze, ma nessuna lapide ricorda il suo nome illustre, mentre altri poco o niente noti, nel mondo letterario e politico, sono ricordati con solennità.
Questo oblio non valse a cancellare dalla memoria di chi amò e sentì il dovere di ricordare lo statista aidonese, per rendere immortale il suo nome, la sua dottrina, le sue gesta politiche e rivoluzionarie.
Caltanissetta memore del suo illustre concittadino, per la prima gli eresse un mezzobusto in marmo e ornò un giardino che si onora del suo nome.
Caltagirone grata al suo primo rappresentante alla Camera italiana, diede il suo nome ad una delle strade principali.
Il 26 novembre 1868 a Firenze , il Presidente della Camera dei Deputati, l’ avv. Adriano Mari, commemorò con un lusinghiero ed erudito discorso, Filippo Cordova alla fine del quale seguì un profondo e religioso silenzio, persino nel banco ministeriale, silenzio, che dimostrò all’ Italia, come l’ immatura perdita di Filippo Cordova, lasciò un largo vuoto nella rappresentanza nazionale.
Ricordarono pure la sua vita, il Comm. Matteo Raeli, Consigliere di Stato come collega, l’ onorevole Giuseppe Massari segretario della Camera come rappresentante di quest’ultima e il Comm. De Cesare, con dei discorsi pronunziati alla presenza del feretro, e raccolti religiosamente furono da un amico del Cordova pubblicati, mentre il Parlamento Italiano più tardi gli decretava un monumento nazionale al Pincio, fra gli uomini illustri italiani.
E Aidone, la patria natia dell’ illustre statista, non avendo potuto rendere immortale, la gloriosa figura del suo più illustre figlio, l’aveva ricordato con una lapide posta sulla facciata della casa ove Egli nacque.
Ma pochi anni or sono, sorse un Comitato d’ intelligenti cittadini, animati da squisiti sentimenti patriottici, col fine di erigere un monumento in bronzo all’ illustre statista. A quest’ opera patriottica descultore Prof. Mario Rutelli, contribuirono, oltre a molti Deputati, il Governo e S.M. Vittorio Emanuele III.

La Massoneria italiana, memore del Gran maestro, in occasione dell’ inaugurazione del mezzobusto, mandò una ghirlanda di rami e foglie di quercia in bronzo con la scritta:

“Al gran Maestro Filippo Cordova, la Massoneria italiana”.

Il 20 settembre 1913, nel giorno immortale della presa di Roma, s’ inaugurò il monumento posto nel centro della Piazza che prende il nome del Cordova, ornata da diversi gonfaloni e bandiere.
La commovente cerimonia resterà scolpita nei cuori dei presenti, perchè quando fu scoperto il monumento, fu salutato al grido di:

“Viva Filippo Cordova”

e da fragorosi applausi, mentre la musica intonava l’ Inno reale, e i più canuti capi si scoprivano riverenti,
Ricordarono inoltre, la vita del Cordova, l’ avv. Enrico Capra, Ugo Filippo Mascari, Gaetano De Arena e la sera, la patriottica festa, fu coronata da un sobrio ed erudito discorso, letto dal professore Francesco Guardione appositamente venuto da Palermo.
Dell’ illustre figlio, Aidone conserva le sue ultime reliquie e alcuni cimeli presso la biblioteca comunale; l’ uniforme del Conte di Cavour col rispettivo spadino d’ argento, l’ uniforme del Cordova e un bel medaglione in marmo con scolpita la sua effigie (regalo della città di Caltanissetta) ornano la sala del Consiglio.

Il Primo Ministro Camillo Benso di Cavour a Lui intimo e compagno nel giornalismo lo definì:

“Il più importante uomo dell’ Italia meridionale, destinato a reggere la finanza nazionale”

Giuseppe La Farina, compagno negli anni 1848-49 e 1860-61 disse di Lui:

“Uomo di ingegno potente, di volontà indomabile, di memoria prodigiosa e di eloquenza inesauribile”

E ancora, Quintino Sella:

“Il primo ingegno d’ Italia”

Bettino Ricasoli:

“Degno per la sua facondia e talenti, disposizione eminentissima in Parlamento”

Il Presidente della Camera Adriano Mari

“Il più vigoroso atleta nelle lotte parlamentari”

il sarcastico Petruccelli della Gattina

“L’ uomo politico dell’avvenire d’ Italia, l’organizzazione la più completa dell’uomo di Stato italiano”


Francesco Domenico Guerrazzi:

“L’ uomo dell’ammirabile vasta dottrina e della favella inesauribile “


Rossi:

“stella polare, vindice delle ingiustizie portate alla nazione, organo autorevole dei lamenti e dei diritti della medesima”

e infine Giuseppe Saracco:

“il gran Ministro decoro d’ Italia”

A cura del Responsabile dell’Archivio storico comunale 
Umberto Digrazia